Ebbe inizio verso la fine dell’Ottocento la storia che partì dai bisnonni Felice e Margherita e dai loro figli.
Si svolse in quella casa di pietra con l'aia di terra battuta, il portico e il pozzo, interamente circondata dai vigneti.
Tutta la famiglia tirava avanti come era in uso a quei tempi, cercando di trarre dalla terra non solo i frutti della vendemmia, ma anche legumi, verdure, che venivano seminati tra un filare e l’altro.
Margherita e le figlie in autunno preparavano le mostarde e le marmellate di gusti diversi e sigillavano nelle amole peperoni e pesche per consumarle nell’inverno. Unico figlio maschio fra tante figlie, Albino, all'età di ventun'anni partì per la guerra del 1915-18.
Alcune sorelle si sposarono lasciando la casa e le vigne per trasferirsi a Torino; Giuseppina col marito raggiunsero un parente nei dintorni di Montevideo, dove diedero inizio alla coltivazione della vite.
Tutto questo si svolgeva mentre il bisnonno Felice, con l'aiuto di altri contadini, negli inverni freddi apriva con la vanga quei fossi profondi per piantare nuove viti.
Margherita da dietro i vetri della finestra in cucina, filava la lana e in cuor suo sperava, come tante altre madri, che il figlio tornasse e quella guerra avesse fine.
Quando Albino tornò dal fronte era novembre. Il grano già era stato seminato e le vigne si spogliavano per il riposo invernale. Dopo aver gioito di una gran festa preparata per il suo ritorno, Albino si riposò, ma solo fisicamente. Il vero riposo venne molto più tardi, quando il tempo smorzò quei ricordi atroci che lo angosciavano.
Poi gli anni si susseguirono nella normalità del lavoro e delle piccole cose quotidiane, intervallati da festività religiose e da eventi familiari. Fra le prime, era vissuta con profondo senso di fede, la Santa Pasqua. Si annunciava col suo scampanio festoso, che lasciava dietro le appassionate Via Crucis e le ore tragiche del Venerdì Santo. Gioiose erano le corse all’alba nei campi per abbracciare gli alberi da frutta, per tuffare le mani nell'acqua del ruscello benedetto dal Risorto.
Tutti uniti si consumava il pranzo, che iniziava con i salumi freschi e gustosi, il brodo e il cappone, più il "bonet" e le pesche delle amole.
Tra gli eventi familiari di quegli anni, il più importante si compì il due di febbraio, quando nella casa di pietra entrò una giovanissima ragazza di nome Francesca, detta "Cichina".
Quel matrimonio aprì un nuovo orizzonte.
L'amore per la terra del marito fu condiviso dalla moglie.
A volte Albino si scopriva ad osservarla, mentre Cichina sul filare incurvava i tralci come fossero ornamenti; oppure quando asportava i teneri pampili con un fare svelto e delicato assieme.
Dal loro amore nacquero otto figli: la primogenita Lidia, capo famiglia nel vero senso della parola, fece da seconda mamma ai più piccoli; la seconda Ines fece coppia con Lidia, quasi come una gemella e condivise con lei esperienze e ricordi nell'affinità dei sentimenti. Olga e Dario morirono piccoli, nello stesso anno in cui nacque Ada. La sua nascita fu come un raggio di luce per la famiglia, provata da tanto dolore.Compì sei anni quando iniziò la guerra di Liberazione. Guerra che ritornò ad impegnare Albino per alcuni anni.
Per amore della sorella Cichina, giunsero nella casa i fratelli Giovanni e Maggiore. Lavorarono in campagna e aiutarono in casa ad accudire gli ultimi nati Maria e Giuseppe, ed alcuni nipoti giunti da Torino per trovarvi rifugio.
Nel 1945 la guerra finì. Albino ritornò definitivamente a casa. Dopo pochi mesi nacque Piero. Giuseppe, di appena tre anni, lo accolse con un pò di riserve, visto tutto quell'andirivieni festoso intorno.
Dopo aver stupito la mamma con l'espressione di voler andare con i partigiani, rimase per proteggere il suo fratellino, che da grande lo ricambiò rimanendogli vicino sempre, nonostante abbia scelto un lavoro diverso e assunto impegni di altro genere.
Trascorsero, dopo questo periodo, anni quasi tranquilli. Le stagioni si susseguivano, mentre nelle vigne il lavoro si svolgeva con perseveranza. Le vendemmie erano festose quando non aveva fatto visita ai vigneti la grandine. Nei canti serali si smorzava il giorno, solo una stretta al cuore prendeva tutti, quando quel bel moscato, dolce come il miele, spariva nelle bigonce per andare verso cantine estranee.
Poi arrivò il cambiamento. Le macchine agricole sostituirono gli animali da fatica, il verderame smise di pesare sulle spalle.
I razzi antigrandine scomparvero e si proposero le assicurazioni. Gli elettrodomestici fecero ingresso nelle case e in qualche portico luccicava il colore di un'automobile.
Mentre continuava questo periodo di crescita e di sviluppo, giunse il giorno triste di aprile in cui Albino morì, dopo che gli altri anziani avevano già da tempo concluso il loro ciclo vitale.
Nella casa di pietra rimasero Giuseppe e Piero, di ventitre e vent'anni, la mamma Cichina e lo zio Maggiore. Oltre che di dolore grande, è stato quello un momento di riflessione per tutti.
A Torino nella "Fiat", dove lavoravano già degli zii e qualche nipote, si crearono nuovi posti di lavoro: uno fra questi, molto interessante, poteva essere occupato da Giuseppe. Piero lavorava già come elettrotecnico, anche se continuava, nel tempo libero, a dedicarsi alle viti manovrando i nuovi macchinari agricoli.
Per Giuseppe si trattava di dover prendere una decisione: se accettare il posto alla Fiat e perciò dover vendere o affittare Ca' del Principe, o continuare il suo lavoro in campagna. Giorno e notte i pensieri gli si affollavano nella mente e con essi i dubbi, le prospettive, i ricordi. Alcuni dei suoi amici avevano già scelto la città; la domenica, in paese, ritornavano per aiutare i genitori anziani. I loro atteggiamenti esprimevano già qualcosa di diverso: forse la terra stessa, che lavoravano con ansia e per poche ore, è stata la prima a capirlo.
Si loda quasi sempre il coraggio di chi parte, mentre, molte volte, il coraggio lo ha chi resta.
Giuseppe, Piero, la mamma e lo zio Maggiore restarono.
Affittarono alcune vigne confinanti, che lavorarono con l'aiuto di qualche vicino. Nella casa di pietra i muratori posero le piastrelle di granito in ogni parte, il lavabo bianco nel bagno, il lavandino di marmo in cucina e la prima bombola del gas.
Piero illuminò tutte le camere con la luce elettrica e appese ai soffitti dei lampadari che, se allora si scostavano dal modesto arredamento, oggi conservano ancora intatta la loro bellezza.
Dopo pochi anni Giuseppe si sposò con Tilde, la quale lasciò la sua Savona per venire nella casa tra i vigneti e vivere con lui il suo futuro.
Piero lasciò la casa per iniziare anche lui una nuova vita ad Asti con la moglie Maria.
Quando nacquero Stefano e Ugo, la casa tra i vigneti si riempì di gioia e allegria, ritornando ad essere quella del passato.
Cichina rivisse in quell'atmosfera le dolci emozioni delle sue maternità lontane, continuando a donare e ricevere amore.
In questo clima familiare sono cresciuti Stefano e Ugo, assimilando quei valori che li accompagneranno sempre e che furono già rispettati dalle persone presentate in questa storia.
I due fratelli hanno entrambi studiato viticoltura ed enologia ad Alba, nutrono entrambi una gran passione per i vigneti, le uve e i vini. La loro azienda muove i primi passi sotto gli sguardi attenti di Giuseppe, Tilde, dello zio Piero e della zia Maria.
Finalmente i bei grappoli di moscato, dolci come il miele resteranno nella loro cantina per trasformarsi in Moscato d’Asti "Ca' del Principe".